…si tratta di ricostituire una struttura educativa in cui l’approccio
all’estetica sia radicato nel sistema, e non inserito come strada laterale
Bruno Munari (Milano, 24 ottobre 1907 – Milano, 29 settembre 1998) è stato un artista, designer e scrittore italiano.
È stato “uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo”, dando contributi fondamentali in diversi campi dell’espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell’infanzia attraverso il gioco.
Già negli anni Sessanta Munari, grazie alla vitale collaborazione con Giovanni Belgrado, docente impegnato nella ricerca di nuovi metodi educativi, aveva creato alcuni giochi specifici per la stimolazione della creatività infantile.
Attraverso la combinazione di elementi e l’ideazione di composizioni personali, il bambino era avvicinato al gioco e spinto ad una partecipazione attiva che lo faceva sentire importante nelle proprie decisioni. Erano le sue scelte a condurre il gioco, non lui soggetto ‘sottomesso’ alle regole. Fondamentale l’atto di sperimentazione da parte del bambino che grazie a questo approccio alternativo agli strumenti dell’arte visiva e della comunicazione, sviluppa
capacità creative, semplicemente giocando.
Munari da sempre opera su un doppio percorso che comprende da un lato la sperimentazione e dall’altro la didattica, profondamente connessi l’uno con l’altro. La didattica è lo strumento per veicolare le soluzioni derivate dalla
sperimentazione. Dichiara infatti che per questo è sempre stato “definito uno che gioca” a causa della sperimentazione criticata inutile e fuori dalla cerchia dei ‘veri artisti’ per la dedizione alla didattica e ad altri ambiti che normalmente non competono all’essere artista. I giochi di Munari sono di fatto i primi prototipi sperimentali di un idea che avrà poi larga espansione e approfondimento nei laboratori Giocare con l’arte, che l’artista milanese mette a punto proprio con il supporto di Belgrado e di Alberto, quel figlio, ora laureato in psicologia e docente al centro di Ginevra Jean Piaget, che li aveva in qualche modo in principio ispirati.
per saperne di più: “ArtTiviamoci”: